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Sindrome di PANDAS: la testimonianza di una madre. Intervista di Puglia Sanità a Giovanna De Nigris

Nel corso dell’eventoDislessia, Discalculia, Disortografia, deficit dell’attenzione??? No…Pandas”, tenutosi lo scorso 5 giugno presso la Saletta della Cultura di Novoli, a cura dell’Associazione culturale #73051, abbiamo incontrato Giovanna De Nigris, insegnante e madre di un ragazzo con sindrome di PANDAS, la quale ha deciso di condividere con noi la sua storia.

Quali sono i segnali e i campanelli d’allarme che possono far nascere nei genitori il sospetto che si tratti di Sindrome di PANDAS e qual è la sua esperienza in merito?

«Per un genitore non è un percorso facile, perché davanti a un problema tende a volerlo ignorare, oppure a esasperarlo, non accettando i comportamenti del figlio percepiti come “anomali”. Essendo io un’insegnante, quindi trovandomi a lavorare anche a con bambini comunemente definiti “problematici”, mi sono spesso sentita dire dalle persone a me vicine: “Tutti i problemi che vedi negli altri poi li attribuisci a tuo figlio”. Anche per dinamiche di questo tipo si è portati a credere che il proprio figlio non sia in grado di leggere, di fare i conti, di mantenere l’attenzione per un eccesso di attenzione del genitore verso di lui.

Subentrato il Covid-19, poi, avevano anche associato il suo problema alla pandemia e alla chiusura in casa. Quando l’insegnante di Italiano di mio figlio mi disse che il ragazzo, pur avendo ottime capacità, aveva difficoltà nell’esprimersi e nell’affrontare in modo funzionale le sue ansie, compresi l’esistenza di un problema reale. Questo è stato il nostro campanello d’allarme, insieme a una serie di tic vocali, che ci hanno portate a consultare alcuni specialisti. Mi sono, dunque, fidata della professionalità della dottoressa Augusta Rizzo, che avevo già avuto modo di conoscere. In seguito a una serie di analisi, è stata lei a diagnosticare la sindrome di PANDAS, condizione che viene erroneamente associata ad altri disturbi. In realtà, si tratta di una malattia clinica che deve essere curata in modo clinico per poter agire in tempo sui sintomi. Fortunatamente, nel mio caso, la sindrome ha coinvolto solo la sfera emotiva senza intaccare gli altri organi. Il ragazzo segue una cura antibiotica e penicillinica associata a degli integratori e a una dieta personalizzata. Dato che la sindrome si è originata da un’infezione da streptococco, dobbiamo cercare di debellare lo streptococco che è rimasto all’interno dell’organismo.

Infatti, la prima domanda posta dalla dottoressa è stata: “Si è mai ammalato?”. Davanti alla mia risposta negativa ha subito compreso il motivo: “Se non si è mai ammalato, il suo organismo ha mantenuto lo streptococco al suo interno, che è andato a intaccare la sfera emotiva”. Purtroppo, esistono situazioni in cui sono attaccati anche altri organi».

In base alla sua esperienza personale, le sembra che il contesto educativo e il personale scolastico siano preparati a riconoscere e gestire situazioni come quella di suo figlio?

«Essendo questa una sindrome poco conosciuta, all’interno del contesto scolastico molto spesso il personale di riferimento non è ancora formato adeguatamente per gestirla. Per questo motivo, uno dei nostri obiettivi principali è far conoscere la sindrome di PANDAS nelle scuole. Io posso lottare in quanto mamma, però ho anche bisogno di un sostegno all’interno del contesto scolastico. Devo dire di essere stata fortunata personalmente, perché una volta riportate le problematiche alle insegnanti di mio figlio, loro mi hanno subito aiutata. Pur non non avendo un certificato e nulla di concreto in mano, hanno attuato un PDP (Piano Didattico Personalizzato) per aiutarlo. Fortunatamente, però, il ragazzo non he ha avuto bisogno: ha sempre portato avanti gli stessi compiti dei suoi compagni pur avendo la possibilità di accedere a prove “su misura”. Certamente il fatto che viene anche aiutato e compreso a casa, sempre nel rispetto della sua autonomia e indipendenza, gli ha permesso di affrontare con successo le stesse sfide degli altri.

 Spesso un genitore ha vergogna a esternare le problematiche dei propri figli: invece devono venire fuori anche perché possono essere d’aiuto agli altri».

Intervista di Benedetta Ala

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