“Siamo un Paese di esauriti”. La narrazione della salute mentale ai tempi di Instagram
“Siamo un Paese di esauriti – la giornalista che annuncia il servizio diventa virale. Il video fa ridere, ma anche riflettere. Il 10 ottobre sarà la giornata mondiale dedicata alla Salute mentale. A parte alcune iniziative virtuose, fra cui la legge pugliese sullo psicologo di base, l’attenzione delle istituzioni sul tema non è ancora sufficiente. La percezione è che il disagio mentale della popolazione resti sottostimato, sebbene il tema sia stato sdoganato sui social e dal punto di vista mediatico – fortunatamente. Ma non sempre la rete è veicolo di una corretta informazione.
L’Italia si colloca agli ultimi posti in Europa per la quota dedicata alla salute mentale: circa il 3,4% della spesa sanitaria complessiva, a fronte del 10% nei principali Paesi europei ad alto reddito. In un appello di qualche mese fa anche i Dipartimenti della salute mentale chiesero di destinare «al massimo in un triennio, oltre 2 miliardi aggiuntivi rispetto ai 4 miliardi di euro attuali, per raggiungere l’obiettivo minimo del 5% del fondo sanitario per la salute mentale».
La misura del bonus psicologico si è rivelata insufficiente, sia per le criticità burocratiche riscontrate dai professionisti e dai pazienti, sia per l’esiguità dei fondi rispetto alle richieste.
Così, mentre la piattaforma di benessere mentale Serenis diventa Official Partner di X Factor 2023 per avvicinare il pubblico televisivo al tema della cura della salute mentale e supportare il percorso di crescita degli artisti in gara attraverso l’aiuto di figure esperte a loro disposizione, lo psicologo a scuola resta un miraggio. O in carcere, o nelle strutture di cura per anziani, ad esempio.
Intanto, in rete ci imbattiamo spesso in contenuti e pagine di argomenti psicologico. I reel di psicoterapeuti – reali o improvvisati che siano – spopolano, così come i siti di consulenza psicologica online. Se da un lato ciò dimostra l’esistenza di un’esigenza reale da parte della popolazione sopratutto giovane e giovanissima, dall’altro rimanda a una riflessione sui rischi del medium.
La responsabilità di affrontare un tema delicato come quello salute mentale non può essere affidata unicamente alla rete. Senza stigmatizzare uno strumento oggi necessario e dalle infinite potenzialità, né svilire il lavoro di pagine serie dedicate alla psicologia (ben vengano!), è necessario porre l’accento sul rischio dell’assimilazione da parte dell’utente di una visione banalizzante e imprecisa della salute mentale.
Un video sottotitolato di pochi minuti non può spiegare una dinamica relazionale disfunzionale: al limite potrà offrire degli input informativi. Spesso, però, le semplificazioni concettuali della rete ci fanno sentire onniscenti e onnipotenti, in grado di formulare autonomamente diagnosi e autodiagnosi. Ci fanno applicare alcuni concetti in maniera impropria: fra gli esempi di sovraestensione, la definizione di “narcisista” (si tratta di un disturbo che deve essere diagnosticato da un professionista, non è un sinonimo di “ex stronzo ed egoista”). Ancora, si tende ad adoperare erroneamente il termine “depressione” come sinonimo di “tristezza” e per fortuna migliaia di contenuti online chiariscono le differenze.
Se, quindi, si può riconoscere ai canali social il merito di aver sdoganato il tema della salute mentale, dall’altro la rete ci pone davanti alla sfida continua del vaglio critico del contenuto, quando spesso non abbiamo gli strumenti per farlo.
Benedetta Ala