La Puglia che piace e ci piace: L’Osservatorio malattie rare definisce la Puglia come “la regione italiana più attenta e propositiva in tema di diagnosi delle malattie genetiche rare”
Soltanto cinquanta in tutto il mondo i casi documentati di questa sindrome da deplezione del DNA mitocondriale.
Che la Puglia fosse la regione italiana più attenta e propositiva in tema di diagnosi delle malattie genetiche rare attraverso la mappatura genetica era già evidente con l’approvazione di “Genoma-Puglia. Programma di ricerca per la diagnosi precoce e la cura delle malattie rare su base genetica”. Ora l’attualità ce lo testimonia una volta di più, con il caso di diagnosi in un bimbo di soli 15 giorni di vita di una patologia ultra-rara, la sindrome da deplezione del DNA mitocondriale tipo 13.
LA STORIA E I PRIMI SINTOMI
Il piccolo protagonista di questa pionieristica diagnosi – ha reso noto con una nota l’ASL di Bari – è nato pretermine a 31 settimane, con peso di 1.400 grammi, dopo un parto cesareo in emergenza, a causa di liquido amniotico in eccesso. È stato trasferito in terapia intensiva neonatale in ventilazione non invasiva, per essere monitorato, come da procedura ordinaria. Tuttavia, a distanza di 24 ore dalla nascita, il bambino presentava un disturbo, con importante acidosi metabolica, accumulo di acido lattico e deficit di basi.
LA DIAGNOSI
“Le indagini strumentali e le analisi chimiche – spiega il dottor Gabriele D’Amato, direttore (facente funzioni) Unità di Terapia Intensiva Neonatale Ospedale “Di Venere” (Bari) – hanno escluso cause secondarie di tale disturbo, da qui abbiamo iniziato a considerare una condizione patologica legata ad errori congeniti del metabolismo o difetti di produzione energetica”. Ma, una volta eseguita tutta una serie di indagini metaboliche, con esito negativo, la Terapia intensiva neonatale del Di Venere ha deciso di allertare l’Unità di Malattie metaboliche dell’Ospedale Pediatrico e, subito dopo, nel sospetto di una patologia mitocondriale ultra-rara, si è disposto l’avvio urgente di un sequenziamento dell’esoma.
Nella stessa giornata è stato programmato prelievo di sangue del neonato e dei genitori e avviata la diagnosi presso il Laboratorio di Genetica del Di Venere, centro di riferimento regionale per la diagnosi mediante esoma. L’intera procedura di sequenziamento è stata completata in 4 giorni.
LA PATOLOGIA
Sono soltanto 50 in tutto il mondo i casi di sindrome da deplezione del DNA mitocondriale che, al termine dell’iter di analisi genetica, è stata diagnosticata al bimbo.
“L’ indagine – chiarisce il direttore della Genetica Medica dell’Ospedale “Di Venere”, Mattia Gentile – ha consentito di individuare una mutazione da scivolamento in omozigosi del gene FBXL4 da genitori eterozigoti (portatori sani) della stessa. Il neonato – prosegue – è quindi affetto da una encefalomiopatia mitocondriale molto rara, nota come sindrome da deplezione del DNA mitocondriale tipo 13, caratterizzata da ipotonia, difficoltà di suzione, encefalopatia con severo ritardo dello sviluppo e persistente acidosi lattica”.
L’analisi genetica ha permesso, tra l’altro, di chiarire che si tratta, in questo caso, di una condizione autosomica recessiva (genitori portatori sani) per cui il rischio di ricorrenza è quantificabile a 1 su 4 (25%) a ogni gravidanza.
LA TERAPIA
In letteratura è documentato il caso di una bambina statunitense di 4 anni, affetta da mutazione del gene FBXL4, trattata con successo con una dieta chetogenica parenterale per acidosi lattica.
Per quanto riguarda il caso pugliese, grazie all’inquadramento precoce della patologia, in tempi finora mai raggiunti in nessun caso noto alla letteratura medico-scientifica, il piccolo ha ricevuto l’adeguata terapia per trattare il disturbo, al termine di un percorso clinico multidisciplinare.
Fin dalle prime manifestazioni sintomatiche, i clinici hanno ipotizzato una compromissione metabolica. “Da subito – spiega la dott.ssa Albina Tummolo, Malattie Metaboliche Ospedale Giovanni XXIII – per il piccolo abbiamo previsto una dieta priva di proteine, con soli moduli glucolipidici. La sintomatologia, tuttavia, non migliorava e, una volta ottenuto l’esito dello Screening Neonatale, è stato chiaro che non si trattasse di una delle circa quaranta patologie metaboliche inserite nel panel”.
“La diagnosi genetica precoce – conferma la dott.ssa Tummolo – ha consentito di indirizzare in maniera più mirata l’approccio terapeutico, perché ha permesso di comprendere come, a causa della mutazione genetica, i mitocondri del piccolo paziente venissero precocemente distrutti da parte della cellula. Attualmente – prosegue – il bimbo segue una dieta chetogenica, che ha consentito il ripristino, in piccola parte, dell’allattamento materno, a cui è stato aggiunto un modulo con lipidi e proteine, ma non carboidrati. In aggiunta è stata introdotta una terapia vitaminica a base di aiutanti degli enzimi della respirazione mitocondriale. Già con questo approccio terapeutico il bambino ha iniziato a crescere e i valori di lattato e glicemia sono tornati praticamente normali. Infine – aggiunge – abbiamo associato un cofattore, già utilizzato in alcune malattie neurologiche, in grado di incrementare la sopravvivenza dei mitocondri e di migliorare la potenzialità energetica residua di questo organello”.
“Grazie alla terapia, – illustra il dottor D’Amato –, oggi il piccolo, ha raggiunto le 38 settimane post concezionali, ovvero è ora considerato “a termine”, cresce in maniera regolare e ha superato i due chilogrammi di peso. Lo stato di salute complessiva è buona, anche se l’ipotonia legata alla patologia gli causa ancora qualche difficoltà nella suzione. L’obiettivo è di renderlo autonomo nell’alimentazione per poi poterlo dimettere e affidarne la presa in carico ambulatoriale da parte dell’Unità di Malattie Metaboliche dell’Ospedale Giovanni XXIII”.
Fonte: Osservatorio Malattie Rare