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“Incontrare” il dolore attraverso la psicoterapia

Il dolore segna il nostro tempo, lo interrompe e ci obbliga a guardare noi stessi e gli altri, la relazione con gli altri, il mondo, con occhi diversi. Spunti di riflessione sulla sofferenza e sul percorso di psicoterapia partendo dal libro di Antonio Romanello, “Change. Incontrare il dolore, condividere il cambiamento nei contesti di vita quotidiana e in psicoterapia”.

“Il dolore è un’esperienza soggettiva, in qualunque forma ci attraversi, non è uguale per ciascuno di noi”.

Al termine di una delle più grandi emergenze della storia – quella della pandemia da Covid-19 – è convenevole affermare che l’umanità è attraversata da un dolore che si dispiega in varie forme: un’esperienza traumatica che ha investito le nostre vite, plasmandole e rendendole, per certi versi, irriconoscibili.

La medicina parla di “post-pandemic syndrome” davanti a sintomi quali ansia e panico, sintomatologia ossessivo-compulsiva, insonnia, sintomi depressivi e da stress post traumatico. La crisi Covid-19 ha aumentato anche il rischio di depressione. Essa inficia la capacità individuale di risolvere i problemi, stabilire e raggiungere obiettivi, e funzionare in modo efficace, al lavoro e nelle relazioni, rendendo ulteriormente difficoltoso il recupero dalla crisi.

Quello della pandemia da Covid-19 è solo un esempio di come il dolore, per quanto si possa opporre resistenza, può insinuarsi nella nostra quotidianità e renderci vulnerabili. Tutto quello che accade nella nostra vita, sin da prima della nascita, ci mette in contatto con l’esperienza del dolore.

Ed è proprio il “dolore” il filo rosso che unisce tutti i capitoli del libro “Change. Incontrare il dolore, condividere il cambiamento nei contesti di vita quotidiana e in psicoterapia”, scritto dal professor Antonio Romanello didatta del Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale di Roma, Presidente e direttore della Scuola Change di Bari, presentato lo scorso 31 maggio presso la Biblioteca Bernardini a Lecce. Con il supporto degli studi nei campi della neurobiologia, neuroscienze, psicologia dello sviluppo e biologia naturale, l’autore intende proporre un modello di psicoterapia aperto a una visione unitaria.

Questo volume vuole raccontare una lunga storia, vissuta e rappresentata nella narrazione del dolore. Tale storia richiede al lettore di fermarsi a riflettere, lungo il suo percorso di vita, volgendo uno sguardo ad una delle dimensioni più umane e profonde: la sofferenza, che spesso abbiamo paura di riconoscere in noi stessi e negli altri. Perché se il dolore sfugge al nostro sguardo, si sottrarrà anche a ogni tentativo di combatterlo”. Si legge nella prefazione del libro a cura di Maria Faro De Caro, prof.ssa associata in Psicologia Clinica presso l’Università degli Studi di Bari e Psicoterapeuta.

Il libro di Romanello mi ha colpito per la sensibilità e l’abilità di portare agli occhi del lettore esperienze cliniche, illustrando percorsi di cura nell’ottica di un cambiamento che è veramente possibile ed in grado di restituire a chi soffre l’amore mancato e la crescita. Questi aspetti non fanno che riportarmi alla mia esperienza personale, in un momento in cui il dolore era entrato a gamba tesa nella mia vita, – in una delle sue tante forme o, forse, in più di una – senza chiedere permesso come un ospite indesiderato. In una realtà in cui da una parte la società ci chiede una sorta di “perfezione emotiva” dove non può esistere la sofferenza, chi soffre viene svilito e il dolore stigmatizzato, è facile perdere la strada e più difficile ritrovarla.

Ma proprio come prospetta l’autore nel titolo del libro, il cambiamento è possibile: l’ “incontro” con il dolore e il suo riconoscimento rimette in moto la vita propria e con gli altri. In questo senso appare determinante intraprendere un percorso di psicoterapia. Romanello ci restituisce un’immagine più “umana” dello psicoterapeuta, non fine a sé stesso, ma capace di fare da ponte affinché il paziente riesca ad “incontrare” il suo dolore, comprenderlo e accettarlo.

Parlare del dolore in un “posto sicuro” dove il paziente può sentirsi ascoltato è il primo passo per arginare il ciclo della sofferenza e rimettere in moto il ciclo della vita.

 

Foto e articolo di Giulia De Nigris

 

 

 

 

 

 

 

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