Giornata mondiale del sonno 2023: perché è importante dormire bene
Il 17 marzo è la Giornata mondiale del sonno 2023: dormire è un comportamento fondamentale perché rigenera corpo e mente. Eppure, le nostre notti sono sempre più disturbate.
A partire dalla metà del secolo scorso, l’invenzione di strumenti che registrano l’attività cerebrale e quella di muscoli e organi ha permesso di chiarire che cosa succede durante la notte. L’elettroencefalogramma, in particolare, si è addentrato nel mistero del cervello addormentato, rivelando un’attività sorprendentemente varia e a tratti persino più vivace di quella che si registra nelle ore di veglia. Il tracciato mostra due fasi che si alternano ciclicamente: la fase non-Rem è la prima a manifestarsi e occupa il 75-80% del sonno totale; la fase Rem, invece, fu identificata già nel 1953 dallo scienziato statunitense Eugene Aserinsky, sulla base dei movimenti oculari che si percepiscono dietro le palpebre chiuse (Rem è l’acronimo di Rapid Eye Movements).
La fase non-Rem è a sua volta suddivisa in 4 stadi. Il primo rappresenta il passaggio dalla veglia al sonno, dura da uno a sette minuti e può essere facilmente interrotto da disturbi esterni, come per esempio un rumore. Il secondo, della durata di 10-25 minuti, costituisce il 45-55% del sonno totale ed è caratterizzato da un tracciato singolare dell’elettroencefalogramma, con segni caratteristici che gli studiosi hanno collegato ai processi di consolidamento della memoria e all’apprendimento. Gli stadi 3 e 4, che precedono la fase Rem, costituiscono il cosiddetto “sonno a onde lente”, presente solo nella prima parte della notte, ma cruciale per la riorganizzazione dei circuiti cerebrali. A livello fisiologico, il sonno a onde lente è caratterizzato anche dal calo nella produzione di ormoni dello stress, come il cortisolo.
Quantità e qualità
Numerosi studi hanno chiarito che dormire poco e male ci rende meno efficienti durante la giornata e che, se il problema persiste, può danneggiare la salute in molti modi. I disturbi del sonno, infatti, possono avere un forte impatto sulla quotidianità di che ne soffre, andando a provocare stanchezza cronica, cali dell’attenzione e un aumento dell’irritabilità e degli stati emotivi depressivi. Nel nostro Paese circa 1 adulto su 4 soffre di insonnia cronica o transitoria. Sono soprattutto le donne ad essere maggiormente interessate, circa il 60% rispetto al totale. Cifre che sono molto aumentate in questi anni di pandemia da COVID-19.
Indicativamente un individuo adulto deve dormire tra le 7 e le 8 ore, anche se per alcune persone sono necessarie 9–10 ore piene di sonno e ad altre ne bastano 5-6. In ogni caso, la quantità di sonno adeguata per ciascuno è quella che consente di svegliarsi riposati e attivi, con un buon tono umore, pronti per affrontare in modo produttivo la giornata che si ha davanti.
«Nella maggior parte della popolazione adulta vale la regola delle 8 ore per notte», spiega Francesco Fanfulla, responsabile del Centro di medicina del sonno dell’Istituto Maugeri di Pavia. «Si tratta però di un obiettivo sempre più difficile da raggiungere».
A mettersi di mezzo fra noi e il cuscino ci sono abitudini ormai consolidate, come quella di utilizzare la sera telefonini, tablet e computer, il cui schermo emette una luce blu che interferisce con la produzione di melatonina (l’ormone che ci induce al sonno). Molti esperti, infatti, consigliano di evitare di passare troppo tempo davanti agli schermi nelle ore serali.
Il sonno dei giovani
Dati non incoraggianti si registrano anche tra i giovanissimi. Secondo un’analisi dell’Università di Adelaide (Australia), che ha esaminato oltre tremila ricerche effettuate in 20 Paesi su più di 690.000 soggetti, tra il 1905 e il 2008, i bambini e i ragazzi di età comprese fra i 5 e i 18 anni hanno perso 75 minuti di sonno a notte, pur con grandi variazioni a seconda dell’area geografica. Le conseguenze sulla salute dei più giovani sono particolarmente preoccupanti, come dimostra una ricerca pubblicata alla fine di luglio 2022 sulla rivista Lancet Child & Adolescent Medicine.
Lo studio ha seguito per due anni 8.323 bambini di età comprese fra 9 e 10 anni, suddivisi in due gruppi: coloro che dormivano almeno 9 ore per notte (ovvero, la quantità minima raccomandata dall’American Academy of Sleep Medicine per la fascia di età compresa fra i 6 e i 12 anni) e coloro che invece dormivano meno. I risultati mostrano che questi ultimi tendono ad avere difficoltà cognitive (nel processamento delle informazioni, nella memoria e così via) e comportamentali.