Da Harvard a Bari: storia di una giovane ricercatrice pugliese
Poi, dopo “una scelta oculata”, ha deciso di tornare a lavorare in Italia perché qui, spiega, “ho trovato la possibilità di proseguire il mio percorso professionale in un centro scientifico di eccellenza”. Ad offrire l’opportunità di invertire la rotta a un cervello non più in fuga è stato l’istituto oncologico Giovanni Paolo II di Bari. Qui la ricercatrice lavora da pochi giorni nell’unità operativa di Ematologia diretta dal dottor Attilio Guarini.
Parlando dei motivi che l’hanno spinta a tornare, spiega che “ho cercato di avere sempre dentro di me la consapevolezza di tornare in una realtà che non sono gli Stati Uniti ma che può crescere. Gli Usa hanno spesso in questi grandi centri disponibilità economiche maggiori ma non è qualcosa di irraggiungibile, e penso che abbiamo tutte le qualità per poter migliorare anche nel nostro piccolo e poter fare le cose in grande
Noi europei veniamo richiesti e ricercati all’estero quando potremmo dare il nostro contributo qui in Italia e al Sud. Aver visto tante cose serve poi a migliorare anche quando si ritorna sul posto”. Quanto alla differenza tra gli stipendi, spesso più alti all’estero, Gramegna sottolinea che “anche il costo della vita è diverso”, e puntualizza che “non dobbiamo dimenticare il ‘lusso’ con cui siamo nati in Italia, ovvero quello di una sanità pubblica, mentre negli Usa le cure dipendono dalle possibilità personali e dall’avere un’assicurazione”.
Inoltre Gramegna spiega che in America “gli status sociali sono più definiti ed è difficile passare da uno all’altro: i miei due genitori sono infermieri e io ho potuto studiare anche grazie all’università pubblica italiana, arrivando negli Usa. In America i costi degli studi sono più difficili da sostenere”. La studiosa non nasconde che le mancassero anche “il cibo e il tipo di tessuto sociale” ma precisa di non essere “affatto scappata dagli Usa”. Voleva “tornare a fare clinica: lì – spiega – ho fatto una esperienza da ricercatrice, qui sono tornata al contatto con i pazienti. E mi sono focalizzata su un istituto a carattere scientifico con questo, per cercare il connubio tra clinica e ricerca”.
“L’obiettivo – conclude – è sempre quello di migliorare l’offerta terapeutica ai pazienti. La ricerca è fondamentale, in campo oncologico ed ematologico lo è ancora di più”.
Fonte: Ansa