Stupro di Palermo: “L’educazione al rispetto delle donne è responsabilità condivisa tra politica, scuola e famiglia”. Puglia Sanità ne parla con la dott.ssa Alessandra Nicolaci
Sono passati due mesi dalla terribile vicenda dello stupro di gruppo di Palermo: la notte dello scorso 7 luglio le telecamere di sorveglianza riprendono un gruppo di ragazzi che sorreggono una giovane barcollante. L’orrore di quella notte rimane impresso indelebile in quelle immagini che, insieme alle chat su WhatsApp e una foto recuperata dai telefonini, inchioderanno sette giovanissimi tra i 18 e i 22 anni, tra cui anche un minorenne. L’incubo vissuto dalla vittima desta da subito notevole clamore mediatico, entrando impetuosamente nelle case di tutti gli italiani: da un lato l’opinione pubblica è però ricaduta nel solito impasse di colpevolizzazione della vittima, dall’altro la politica non è riuscita a dare risposte diverse dalla cd. castrazione chimica. Ma a cosa sono legati questi comportamenti brutali da parte di giovanissimi? Noi di Puglia Sanità ne abbiamo parlato con la psicologa e psicoterapeuta dott.ssa Alessandra Nicolaci, specializzata in psicoterapia sistemico-familiare. Con lei abbiamo discorso di educazione all’empatia, di vittime e carnefici, del ruolo complementare di politica, scuola e famiglia nell’educazione delle nuove generazioni.
Con la vicenda dello stupro di gruppo di Palermo, si è riaperto il dibattitto sugli effetti della “cultura del porno” sui giovani. Che impatto può avere questa sessualizzazione precoce e distorta sulla loro mente?
L’accessibilità facile e diffusa al contenuto pornografico attraverso il web può avere un impatto significativo sulla percezione della sessualità da parte dei giovani. La cultura del porno spesso rappresenta una sessualità distorta, irrealistica e focalizzata sull’”oggettificazione” e la dominazione. Gli adolescenti possono essere influenzati da queste rappresentazioni, sviluppando aspettative irrealistiche e comportamenti inappropriati. Questo può portare a una scarsa comprensione delle dinamiche consensuali nelle relazioni sessuali e alla mancanza di empatia verso i partner.
Secondo lei è possibile affermare che la vicenda di Palermo sia legata alla mancanza della presenza educativa, dal punto di vista affettivo, degli adulti?
La mancanza di una presenza educativa affettiva degli adulti può certamente contribuire a comportamenti devianti tra i giovani. Un ambiente familiare in cui manca l’attenzione, il supporto emotivo e l’educazione sessuale adeguata può aumentare il rischio che i giovani cerchino informazioni e modelli di comportamento altrove, come nel porno. Tuttavia, è importante ricordare che non si può generalizzare questa causa specifica per la vicenda di Palermo senza una valutazione accurata del contesto individuale dei coinvolti.
La notizia dello stupro di gruppo ha destato molto clamore mediatico, basti pensare che si è scatenata una vera e propria “caccia” al video di Palermo su Telegram. Secondo lei da cosa scaturisce il desiderio degli utenti, molti di loro giovanissimi, nel voler vedere, anziché percepire questa vicenda come qualcosa da cui prendere una giusta distanza?
Il desiderio di vedere il video potrebbe derivare da una curiosità morbosa o da una mancanza di comprensione della gravità del crimine. Molte persone, soprattutto i giovani, potrebbero non essere pienamente consapevoli delle conseguenze devastanti dello stupro e potrebbero non avere una maturità emotiva sufficiente per percepire la situazione con la giusta distanza. Inoltre, la facilità con cui il contenuto viene condiviso e diffuso su Internet può portare alla sua ricerca da parte di individui che cercano sensazionalismo o notorietà.
La violenza dello stupro di gruppo di Palermo è stata resa, se possibile, ancora più brutale dai commenti che i presunti stupratori hanno condiviso in chat: uno di loro ha infatti giustificato quanto accaduto affermando che “la carne è carne”. Come spiega questo meccanismo di colpevolizzazione della vittima?
Questo tipo di giustificazione da parte degli aggressori è un esempio di “colpevolizzazione” o “deumanizzazione” della vittima riflette una mancanza di empatia e rispetto fondamentali per l’integrità delle persone. Spesso, gli aggressori cercano di minimizzare le loro azioni per giustificarle o addirittura per negare la responsabilità. Questo può derivare da stereotipi culturali o da atteggiamenti misogini che disumanizzano le vittime, trattandole come oggetti anziché come individui con diritti e dignità. Inoltre, quando la violenza è di gruppo scatta l’effetto di deresponsabilizzazione, come se la responsabilità fosse condivisa e quindi l’aggressore si sente “meno colpevole”.
Nelle scorse settimane il Ministro Salvini ha annunciato un disegno di legge per introdurre in via sperimentale il blocco androgenico (cd. castrazione chimica) per chi stupra. Secondo lei potrebbe rappresentare un effettivo deterrente?
Assolutamente no. In alcuni paesi la castrazione chimica è stata attuata con persone con tendenze pedofile e che a volte vedono nella castrazione l’unica via d’uscita per non compiere più atti seriali in questo senso. Qui siamo di fronte a dei ragazzini verso i quali abbiamo tutti delle responsabilità. Non si tratta di punirli ma di aiutarli a ritrovare sé stessi anche nell’incontro con l’altro. Dietro un ragazzino antisociale, violento e narcisista c’è sempre un bambino ferito, non visto dal punto di vista affettivo ed emotivo. Perciò è necessario un lavoro psicoterapeutico. La punizione da sola serve a poco.
Infine, in che misura ritiene sia compito della politica, della scuola e della famiglia farsi carico dell’educazione dei giovani all’empatia, al rispetto del prossimo e delle donne?
L’educazione all’empatia, al rispetto del prossimo e delle donne è una responsabilità condivisa tra la politica, la scuola e la famiglia. Le istituzioni hanno un ruolo complementare nell’educare i giovani su questi valori insieme alle scuole. La famiglia resta sempre la base di partenza e nella migliore delle condizioni dovrebbe essere una base sicura da cui partire e dove rifugiarsi, ma in alcuni casi purtroppo questo non avviene. Allora ognuno di noi deve sentire la responsabilità di prendere per mano chi si perde, chi non sa dove andare, chi quella base non l’ha avuta o non è stata poi così sicura.
Foto e intervista di Giulia De Nigris